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TAR per l’Emilia Romagna – ordinanza cautelare n. 408/2023

Ritenuto ad un sommario esame di poter apprezzare favorevolmente le esigenze cautelari atteso che le ragioni del diniego impugnato appaiono riconducibili unicamente a fatti imputabili alla volontà di terzi e non dell’odierno ricorrente, il quale ha invece fornito elementi per poter ambire alla conversione del titolo di soggiorno per lavoro subordinato, con doverosa rivalutazione da parte della Prefettura.

In questa pronuncia cautelare il TAR di Bologna si esprimeva in senso favorevole al ricorrente straniero, in una vicenda particolarmente interessante.

Lo straniero era titolare di un regolare visto per tirocinio e, prima della scadenza, chiedeva la conversione dello stesso in permesso per lavoro subordinato, allegando proposta di contratto da parte di un datore di lavoro che, secondo la PA nel preavviso di rigetto ex art. 10bis L. 241/90, sarebbe stato oggetto di plurime irregolarità.

A disposizione della difesa vi erano alcune sanzioni amministrative, regolarmente pagate ed estinte, che venivano pertanto allegate chiedendo il riesame della domanda. Non solo, ma si allegava anche una proposta di altro datore di lavoro e si chiedeva, in estremo subordine, permesso per attesa occupazione.

Dopo 5 mesi, in assenza di riscontri tranne che per la conferma del parere negativo sul datore di lavoro (mai documentato, ad ogni modo, dalla PA), la difesa si metteva in contatto telefonico con la PA ed apprendeva, clamorosamente, che “a portale” era già stato caricato un rifiuto della domanda (ad Aprile!) mai comunicato o notificato allo straniero e, peraltro, nemmeno firmato digitalmente.

La PA sosteneva che nulla di più fosse dovuto, ritenendo chiusa la questione.

Nel depositare ricorso al TAR, la difesa – composta dal sottoscritto e dall’avv. Francesco Roppo di Forlì – chiedeva di essere restituita nei termini, posta la evidente negligenza della Prefettura (violazione dell’art. 3 co. 3 Regolamento attuativo al TUI) nonché la incolpevole condotta dello straniero che non veniva posto in condizione di difendersi.

Nel merito, si sosteneva altresì la totale assenza di valutazione delle richieste subordinate (altro datore di lavoro disponibile o, in estremo subordine, un permesso per attesa occupazione come previsto dalla Circolare Ministero dell’Interno del 20.08.2007) e, sempre, la incolpevole condizione dello straniero che per fatti non imputabili al medesimo si trovava costretto in una condizione di estrema vulnerabilità.

Il TAR accoglieva, come indicato in premessa, la domanda cautelare avanzata in via incidentale per tutelare la presenza sul territorio dello straniero e ordinava alla Prefettura un riesame della posizione, alla luce di quanto esposto.

In attesa dell’udienza nel merito, vedremo il comportamento della Pubblica Amministrazione.

 

avv. Filippo Antonelli

Foro di Forlì-Cesena

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Il caso di un rigetto della conversione del permesso di soggiorno, in difetto di valutazione specifica del caso concreto.

 

Il caso ha ad oggetto una richiesta presentata da un cittadino nigeriano, già titolare di permesso di soggiorno per motivi umanitari, ai fini del suo rinnovo e/o conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

 

IL FATTO

Non a caso ho indicato rinnovo “e/oconversione.

Non ci si deve stupire oltremodo, ma nella maggior parte dei casi ci sono problemi di comunicazione tra chi riceve un’istanza relativa ad un permesso di soggiorno e lo stesso istante.

Nel caso in questione il cittadino nigeriano aveva presentato una domanda “di rinnovo” di un permesso per motivi umanitari, tuttavia il contenuto della domanda si presentava, evidentemente, di diversa natura.

Proprio tale natura doveva essere meglio considerata dalla Questura competente.

 

Nelle more dell’entrata in vigore della L. 132/2018, le Commissioni Territoriali per il Riconoscimento della Protezione Internazionale valutavano, ad ogni richiesta di rinnovo, il permanere della condizione di c.d. vulnerabilità che aveva portato, in prima battuta, al riconoscimento del permesso per motivi umanitari.

Al netto di ogni valutazione nel merito, che comunque non si condivide, lo straniero presentava un’istanza ai fini di un rinnovo che, nella pratica e nei fatti, altro non era se non una richiesta di conversione del titolo di soggiorno.

 

D’altronde gli atti ed i documenti offerti alla competente Questura consistevano in contratti di lavoro, passati e presenti (continuativi), buste paga, dichiarazioni dei redditi e, soprattutto, la stessa Questura competente indicava allo straniero di versare il contributo pari ad Euro 70,46, che lo stesso versava regolarmente.

Tale importo, è esattamente quello previsto per la durata del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, posto che il relativo importo del permesso per motivi umanitari è pari ad Euro 30,46.

Ciò nonostante la Questura rigettava la richiesta dello straniero, peraltro con una motivazione del tutto singolare: lo straniero ha avanzato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno rilasciato per “motivi umanitari” non avvalendosi, durante il periodo di validità del medesimo, della facoltà di richiedere la conversione del titolo posseduto, in un titolo di soggiorno per motivi di lavoro, così come previsto dalla L. 132/2018.

Per concludere, si indicava che tale provvedimento non necessitava della comunicazione di cui all’art. 10 bis L. 241/1990.

 

IL RICORSO AL T.A.R.

Dapprima veniva impugnato il provvedimento avanti al Tribunale Ordinario, giustamente sottolineando le violazioni occorse nella valutazione della permanenza dei requisiti umanitari che avevano portato al rilascio del permesso. Al di là delle valutazioni sul merito di tale domanda principale, si contestava altresì che – come sopra ampiamente indicato – il contenuto della domanda del cittadino nigeriano non fosse, assolutamente, assimilabile ad una richiesta di rinnovo. Il Giudice Ordinario rigettava il ricorso rispetto ai motivi umanitari, ma concedeva termine per riassumere la domanda relativa ai motivi di lavoro, davanti al Giudice Amministrativo.

Con ricorso in riassunzione al T.A.R. veniva, pertanto, impugnato tale provvedimento, per evidenti profili di illegittimità, formulando una doverosa istanza di sospensione del provvedimento del Questore.

Oltre agli elementi di fatto prodotti ed alla documentazione allegata (tra cui la proroga del rapporto di lavoro al 31.12.2021, data oltre alla quale il ricorrente non avrebbe potuto reperire ulteriori occupazioni posta la scadenza del permesso di soggiorno), di per sé dimostrativa del diritto del ricorrente ad ottenere tale permesso, la difesa argomentava come segue.

 

È fatto obbligo alla P.A., secondo costante giurisprudenza amministrativa oltre che ordinaria, di considerare sempre nuovi elementi sopraggiunti, che non consentano anche il rilascio di permesso di soggiorno per motivi differenti da quelli per i quali è stato richiesto, sanando così irregolarità amministrative.

Così la Giurisprudenza Amministrativa (Consiglio di Stato, sez. I, adunanza 17.06.2020 n. affare 00615/2020) richiama la giurisprudenza della Corte di Giustizia nell’affermare che, risultando evidente dagli atti versati che il ricorrente abbia rappresentato e documentato la propria condizione lavorativa, chiedendo proprio sulla base di questa la conversione del permesso di soggiorno in permesso per motivi di lavoro, abbia diritto al rilascio del permesso anche ad un titolo diverso da quello precedentemente posseduto.

Nel caso in questione, pertanto, la Questura incorre in un evidente errore su almeno due fronti, anche e soprattutto quando indica che il ricorrente non avrebbe chiesto tempestivamente la conversione.

In questo caso, ad esempio, la documentazione prodotta dal ricorrente avrebbe dovuto modificare la valutazione della PA poiché dimostrava di avere una condizione che gli consentiva di ottenere il titolo di soggiorno che – per facta concludentia – aveva richiesto.

Il decreto adottato dal Questore era pertanto del tutto illegittimo, caratterizzato da vizi sostanziali significativi.

Ciò nonostante l’interpretazione della Questura fosse evidentemente volta alla formalizzazione di una domanda di permesso per motivi di lavoro, come ampiamente indicato con riferimento agli importi pagati per la formalizzazione della domanda stessa.

 

Ulteriormente si ponevano profili di illegittimità del provvedimento della P.A. legati alla mancata considerazione di abbondante documentazione lavorativa prodotta (da ultimo, la proroga del contratto di lavoro).

A parere di chi scrive in casi similari è doveroso proporre istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.

Evidenziata la sussistenza – in diritto – del fumus boni iuris, erano altrettanto evidenti i profili del periculum in mora. Al netto di ipotetiche ed ulteriori proroghe (anche) dei divieti di respingimento per via della situazione pandemica, non poteva essere ignorata la concreta possibilità per la quale le condizioni di vita del ricorrente avrebbero potuto essere irrimediabilmente pregiudicate; posto che al netto della proroga al 31.12.2021 della validità dei permessi di soggiorno, le espulsioni sono ad oggi regolarmente eseguite.

Ciò detto, nessuna espressa previsione è indicata nel D.L. 23.07.2021 n. 105 (proroga stato di emergenza) rispetto alla proroga della validità dei permessi di soggiorno, ogni riflessione in merito è meramente interpretativa e non sorretta da fonti scritte, allo stato.

In ogni caso, si deve considerare che le proroghe c.d. emergenziali di cui al precedente D.L. 56 / 2021, ricomprendono la proroga della validità dei permessi di soggiorno scaduti dopo il 31 gennaio 2020, pertanto il ricorrente non poteva beneficiare nemmeno di tale possibilità, vista la scadenza del proprio permesso di soggiorno e la data del provvedimento impugnato, datato 2019.

Tale denegato scenario si sarebbe tradotto non solo nel pregiudizio alla capacità lavorativa del ricorrente, privato così di ogni possibile tutela anche ex art. 35 Cost. alla luce della potenziale perdita di ogni fonte di reddito, ma le conseguenze di tale denegata possibilità avrebbero ovviamente investito anche la vita privata e, soprattutto, sociale, del ricorrente, che si sarebbe trovato in una condizione di assoluta vulnerabilità e privo di ogni forma di tutela.

 

LA SOSPENSIVA DEL T.A.R.

Il T.A.R. per l’Emilia Romagna (I sezione) ha pertanto emanato ordinanza cautelare N. 403/2021, con la quale accoglieva l’istanza di sospensione avanzata dal ricorrente, ordinando alla P.A. di riesaminare la posizione dello stesso alla luce degli elementi dedotti in ricorso, ritenuti meritevoli di accoglimento già ad un primo esame sommario.

 

(Ordinanza T.A.R. Emilia Romagna n. 403/2021)

 

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Avv. Filippo Antonelli