Cassazione Penale, sez. 6, sentenza n. 17367 del 24.4.2024 (dep. 26.4.2024)

 

“… In primo luogo, deve sottolinearsi come la Corte di Appello abbia reso una motivazione apparente in relazione al dedotto rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, dedotto dal ricorrente richiamando, in particolare, il report del Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) del 2022, dal quale emergerebbero condizioni non rassicuranti. A fronte della specifica indicazione di una fonte attendibile, la Corte di appello avrebbe dovuto valutare la necessità di richiedere informazioni integrativa in ordine al luogo e alle modalità di detenzione cui il ricorrente verrebbe sottoposto o, in alternativa, avrebbe dovuto fornire una adeguata motivazione idonea a confutare la deduzione difensiva. …

Analoga conclusione, peraltro, si impone anche in riferimento all’omessa valutazione del radicamento in Italia del ricorrente. è pur vero che tale elemento è ostativo alla consegna solo nel caso di mandato di arresto esecutivo, cionondimeno, l’art. 19, lett.b), l. 22 aprile 2005, n. 69, stabilisce che lo stabile radicamento impone di subordinare l’esecuzione del mandato alla condizione del rinvio in Italia per l’esecuzione della pena.”

Un cittadino bulgaro residente in Italia da 25 anni veniva arrestato dalla P.G. in esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso dalla Bulgaria, per esigenze cautelari relative ad indagini su condotte del 2012, relativamente ai reati di truffa e appropriazione indebita.

Abbiamo ritenuto di basare le nostre doglianze difensive su due fattori principali: il profondo radicamento in Italia dell’arrestato (compagna convivente, ex moglie, tre figli invalidi, attività lavorativa e residenza nel territorio da almeno 25 anni) documentando alla Corte d’Appello ogni aspetto, tanto in udienza di convalida quanto all’udienza di esecuzione; ma anche il necessario vaglio d’ufficio da parte della Corte sulle condizioni delle carceri bulgare, notoriamente preoccupanti, allegando un comunicato del Comitato in seno al Consiglio d’Europa e giurisprudenza di merito che esprimeva particolare preoccupazione.

La Corte d’Appello non motivava in ordine a tali doglianze, di fatto ignorate o ritenute non conferenti al caso soprattutto rispetto alla valutazione del radicamento in Italia, che secondo la Corte costituisce motivo ostativo alla consegna solo in caso di un M.A.E. esecutivo, mentre il M.A.E. in oggetto veniva emesso per finalità investigative.

Il nostro ricorso alla Suprema Corte si fondava pertanto principalmente su questi due aspetti, che venivano positivamente valutati dalla 6 sezione nei termini sopra riportati, così annullando la sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello per il nuovo giudizio.

 

avv. Filippo Antonelli

Foro di Forlì-Cesena

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