Indebita compensazione e mancato versamento di somme dovute
Un caso particolare in relazione all’art. 10 quater D.Lgs. 74/2000 e al ruolo del legale rappresentante di una società
Il delitto di indebita compensazione ex art. 10 quater D.lgs. n. 74/2000 punisce con la reclusione “da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro”. Il secondo comma, inoltre, prevede che: “è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro”.
Gli amministratori di società possono purtroppo trovarsi a fare i conti con una fattispecie che, come indicato sopra, punisce chiunque (in particolare nel caso di specie si parla dell’amministratore di una società cooperativa) non versi le somme dovute, attraverso ad esempio una condotta di mancata presentazione dell’Unico o della dichiarazione IVA, relativamente ad un anno d’imposta, utilizzando in compensazione dei crediti non spettanti, così superando la soglia (prevista dal legislatore) di punibilità pari ad Euro 50.000,00.
- La vicenda
- La difesa
- L’assoluzione
La vicenda
Il credito in oggetto, nel caso in esame, non poteva essere utilizzato poiché, ai sensi dell’art. 38-bis co. II D.P.R. 633/72, mancante del presupposto oggettivo: esso dovrebbe giustificare la richiesta di compensazione infrannuale, in relazione ad operazioni non soggette ad IVA, in congruità con l’attività esercitata dalla persona giuridica.
Nel caso affrontato dal sottoscritto, trattandosi di attività di assistenza sociale/cooperativa sociale, il presupposto risultava del tutto incongruente con l’attività esercitata, in più il credito non risultava giustificato contabilmente, in assenza di Quadro TA del modello IVA TR.
L’ipotesi di reato pertanto ben si inseriva nell’alveo dell’indebita compensazione, poiché ai sensi dell’art. 10 quater D.Lgs. 74/2000, la disposizione di cui all’art. 10 bis si applica, nei limiti previsti, anche a chiunque non versi le somme dovute, utilizzando in compensazione crediti non spettanti o inesistenti, ai sensi dell’art. 17 D.Lgs. 241/1997.
La difesa
Nel caso di specie pertanto colui che risultava essere amministratore della società alla data del commesso reato, si ritrovava a ricevere una richiesta di rinvio a giudizio, a seguito della querela presentata dall’Agenzia delle Entrate, con successiva fissazione di udienza preliminare.
L’amministratore di una società ha evidentemente responsabilità in ordine a quanto indicato, ma a differenza di molte altre fattispecie penali in ambito fiscale/societario, nell’ipotesi in oggetto, il momento consumativo del reato può giocare un ruolo decisivo in ottica difensiva.
Può accadere infatti, per questa tipologia di operazioni fiscali, che il precedente amministratore venga considerato, nonostante il cambio delle cariche, quale amministratore ancora c.d. di fatto.
Nella fattispecie in esame tuttavia, considerando il cambio della carica sociale avvenuto più di un mese prima della commissione del fatto, la quale veniva considerata all’interno di un arco temporale ampio, la situazione fin da subito sembrava prendere una piega favorevole per l’imputato.
Come affermato dalla sentenza n. 45234 Cassazione Penale del 26.10.2016, il reato in oggetto si consuma al momento della presentazione del modello F24, essendo appunto questa la condotta con la quale si realizza l’indebita compensazione, ai sensi della normativa in parola (D.Lgs. 241/1997).
In altri termini ciò che penalmente rileva è il momento del mancato versamento causato dall’indebita compensazione, essendo la condotta decettiva del contribuente in sé e per sé perfetta proprio mediante l’utilizzo del modello di versamento in questione.
Non sempre, ma accade che le persone giuridiche come cooperative sociali e simili vedano avvicendamenti nel ruolo di legale rappresentante.
Ne deriva una particolare attenzione che il difensore dovrà prestare al mutamento delle cariche sociali.
L’assoluzione
Nel caso in oggetto, già in udienza preliminare la vicenda poteva essere riportata nei giusti binari in ottica difensiva.
Da una breve indagine condotta sulla banca dati/servizio telematico Entratel dell’Agenzia delle Entrate, si poteva infatti individuare che oltre 30 giorni prima della data del commesso reato (quindi la presentazione del modello F24), l’amministratore della società era cambiato.
Oltre a ciò, si era in possesso di un verbale d’assemblea che ratificava le dimissioni dell’imputato dalla carica di legale rappresentante.
La produzione di tale documentazione ha convinto il GUP a sospendere il procedimento per ordinare immediate indagini alla PG in servizio presso il Tribunale, la quale ha confermato attraverso un controllo incrociato tra banche dati dell’Agenzia delle Entrate e delle Camere di Commercio, le deduzioni della difesa.
Quanto sopra argomentato ha portato all’assoluzione dell’imputato per non aver commesso il fatto, ovvero una delle formule assolutorie più ampie, a seguito di una pronuncia ex art. 425 c.p.p.
Conseguentemente gli atti sono stati trasmessi al PM, in relazione all’amministratore realmente in carica al momento della consumazione del reato.
Avv. Filippo Antonelli
Fonte: Indebita compensazione e mancato versamento di somme dovute
(www.StudioCataldi.it)